Un futuro difficile nel quale Daniele non avrebbe camminato, parlato, sorriso: «Il dolore è infinito, bisogna che i genitori non si sentano abbandonati»
di Simona Sirianni ‘VANITY FAIR’
Riarrangiamento cromosomico a carico del cromosoma 10 definibile come inversione e duplicazione del braccio lungo del cromosoma 10. È stata questa è la diagnosi risultata a poche settimane dalla nascita di Daniele. Nessuna prognosi per questa malattia rarissima, nessuna pubblicazione scientifica che potesse aiutare la famiglia a capire di cosa si trattasse e a cosa sarebbero andati incontro.
«Ci trovammo soli ad affrontare l’ignoto – racconta Sara Francolini, mamma di Daniele – con in mano solo la relazione del nostro genetista che, come unico prezioso consiglio, ci scrisse di costruire un ambiente familiare sereno e stimolante».
Non è granché come consiglio, soprattutto se non hai idea di che cosa soffra tuo figlio, da quale malattia o sindrome sia affetto, se sia grave o meno: «I tanti medici non ci incoraggiarono, anzi, ci disegnarono un futuro difficile, nel quale Daniele non avrebbe camminato, parlato, sorriso. Una sofferenza infinita. Ma, senza perderci d’animo, ci rimboccammo le maniche e cominciammo a cercare qualche struttura che si prendesse in carico il nostro bambino».
Quando sei mamma e ti viene detta una cosa del genere la rifiuti, la respingi, cerchi di combatterla e prima di arrenderti vuoi aver fatto tutto il possibile per capire se è possibile cambiarla. Ma a volte il destino è crudele, quel futuro non lo puoi cambiare e tu mamma lo puoi solo accettare. Cercando qualcosa di buono in tutto quel dolore. E per Sara e Daniele il buono è comunque arrivato. «Ci consigliarono di recarci all’Anffas di Ostia. Daniele venne preso in carico in brevissimo tempo e con lui anche noi genitori, bisognosi di essere abbracciati e aiutati ad accettare la patologia di nostro figlio e affrontarla con le giuste energie».
Perché a tutto il dolore di avere un figlio con una patologia rara si aggiunge la sofferenza di sentirsi soli, di non avere più punti di riferimento perché nessuno sa nulla di quella malattia, perché non ci sono centri specializzati, perché la ricerca scientifica ancora non ha fatto passi avanti: «Una solitudine che l’Anffas di Ostia ha colmato giorno per giorno aiutandoci a scoprire nostro figlio aldilà della sua malattia, a viverlo e amarlo per quello che è e soprattutto a spronarlo a lavorare sulle sue fragilità. Tante terapie mirate, tanti periodi di stallo e tanta fatica ma a distanza di 6 lunghissimi anni Daniele cammina, prova a correre, salta, dice molte parole e cosa più importante di tutte sa esprimere i propri bisogni, la fame, la sete, il sonno, il piacere e il dispiacere per qualcosa. Non si può immaginare la gioia di vederlo così».
Nel corso di questi anni Daniele è stato sottoposto ad alcuni interventi chirurgici: da quello neuropsicomotorio e logopedico, che ha dato i suoi frutti, a quello dell’apparato urinario. Daniele ha affrontato un percorso terapeutico intensivo nel reparto di Disfagia del Bambin Gesù di Palidoro per imparare a masticare e a migliorare la deglutizione. Il percorso, però, fatto di tanti esercizi e tanta pazienza ha portato risultati e a oggi Daniele è in grado di mangiare da solo qualsiasi tipo di cibo solido.
«Oggi Daniele ha una mano preferita, scrive il suo nome e disegna. Da qualche mese sta svolgendo anche alcune sedute dall’osteopata, un trattamento lo ha aiutato a recuperare una corretta funzionalità dell’apparato digerente che comportava dolori e manifestazioni patologiche senza ci fosse un reale danno fisico riscontrabile. Tutto lo sforzo dell’Equipe sanitaria dell’Anffas di trovare il giusto percorso riabilitativo per Daniele ha dato grandissimi risultati».
I grandi progressi di Daniele, che sembrava non potesse far nulla nella sua vita, dimostrano l’importanza della diagnosi precoce e di un intervento riabilitativo tempestivo: «È necessario avviare studi epidemiologici che oggi in Italia sono ancora pochi, pur esistendo importanti strutture. Non abbiamo dati statistici nazionali sul numero di persone che soffrono di questo o di altri tipi di patologie o sindromi, quando invece raccontare e descrivere le patologie rare potrebbe aiutare medici e famiglie ad affrontare con mezzi più mirati ed efficaci le problematiche legate a queste sindromi e soprattutto aiuterebbe le famiglie a sentirsi meno sole».
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